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Gli eterni archetipi che formano la narrazione: Messaggero, Mentore, Guardiano, di Pierluigi Adami

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michi78
view post Posted on 8/4/2012, 19:12     +1   -1




In questo capitolo, il Manuale si sofferma su tre figure fondamentali del percorso narrativo, tre archetipi eterni che appartengono alla nostra psiche individuale e a quella collettiva, tre personaggi-chiave con ruoli ben precisi nelle nostre storie: il Messaggero, il Mentore, il Guardiano della soglia. Quest'ultimo compare all'eroe quando sta per entrare nel Mondo straordinario, il regno dei morti, l'Ade. E per entrarvi, sarà condotto dal Traghettatore (Psicopompo).

IL MESSAGGERO

Il Messaggero è colui che fornisce il “richiamo all’avventura” all’eroe, all’inizio della nostra storia. Come il messo del re, l’araldo dei cavalieri, il nunzio della tragedia greca, la sua comparsa nella narrazione rende esplicita l’instaurazione del conflitto, ne definisce le motivazioni. Può essere incarnato in una persona fisica, un postino, un giornalista o chiunque sia portatore di una novità che pone l’eroe della nostra storia di fronte a una svolta. Oppure, la sua funzione può essere svolta da una notizia ascoltata in televisione, da una email ricevuta all’improvviso, da un incontro fortuito.

A livello mitologico, il Messaggero è rappresentato da Ermes-Mercurio, il messaggero degli dei, appunto, in grado di volare, leggero e veloce, per informare gli uomini delle scelte divine. Come ogni mito, anche Ermes è multiforme e complesso: messaggero e inventore, alchimista e mago, ma anche ingannatore, incantatore, protettore dei furfanti e ladro egli stesso. È Messaggero e Briccone, ingenuo Fanciullo divino e furbo matricolato allo stesso tempo. Il Messaggero Ermes è una delle figure mitiche più intriganti del Pantheon greco-romano.

Sul piano psicologico, questo personaggio-archetipo rende manifesta la necessità di un cambiamento, di mettersi in gioco, di superare i propri limiti. È la manifestazione della nostra inadeguatezza, e dà le ragioni per cercare di migliorare la propria situazione, ora minacciata da un antagonista, esteriore o interiore che sia. Il ruolo del Messaggero può non essere solo ridotto a quello del postino che porta la notizia: come l’araldo dei cavalieri, spesso si trova a dover fronteggiare la riluttanza dell’eroe a mettersi in gioco. Si sa, anche gli eroi più coraggiosi sono titubanti, restii ad accettare la sfida: vorrebbero restare nel loro mondo ordinario, continuare la loro vita precedente. Ma è proprio la manifestazione del conflitto che muove l’azione a rendere impossibile per l’eroe di continuare la sua vita come se niente fosse. E allora, il Messaggero pone l’eroe di fronte al suo dovere. Deve accettare il richiamo all’avventura, c’è bisogno di lui, un “bene prezioso” è minacciato. Per questo, sarà costretto a entrare nel Mondo oscuro e iniziare la sua battaglia.

IL MENTORE



Il Mentore è una delle figure principali della narrazione di tutti i tempi. Rappresenta il saggio, il maestro, il precettore; è colui che istruisce l’Eroe, gli fornisce la sapienza per fronteggiare le avversità. Sul piano mitologico, è legato alla figura di Atena – Minerva, dea della saggezza e ha avuto una prima trasposizione letteraria nell’Odissea, proprio con il personaggio di Mentore (da cui il nome), precettore di Telemaco, figlio di Ulissa, protetto da Atena. Nel mito, egli rappresenta lo Spirito – anche lo spirito-guida, rivelato dallo sciamano, affinché dia all’uomo la sapienza necessaria per compiere la transizione verso uno stato (spirituale) superiore.

Sul piano narrativo, assume le forme del mago, del maestro, del medico, del sapiente, del sacerdote; talvolta è un padre anziano, o un nonno. Sua funzione, in molti racconti, è quella di fornire lo strumento, il “mezzo magico” che consente all’eroe di superare i suoi limiti, vincere gli ostacoli. In questo caso, la sua funzione coincide con quella del donatore.

Sul piano psicologico, il Mentore corrisponde all’archetipo del Vecchio Saggio, come lo definì Carl Gustav Jung. Rappresenta dunque non solo una figura reale, ma anche una componente della personalità degli uomini, quella “voce di saggezza” che sentiamo dentro di noi, che ci guida verso scelte non impulsive e irrazionali. La sua sapienza sull’uomo è così vasta da poter conoscere in anticipo il suo destino, che talvolta predice con grande perspicacia.

Non sempre è benevolo. La dualità del mito può esprimere mentori e donatori che non da subito intervengono a favore dell’eroe; in molti casi lo sottopongono a prove defatiganti e cruciali, per valutare la sua forza e onestà, prima di concedergli l’aiuto, il mezzo, la conoscenza.

In altri casi, il Vecchio mostra un suo lato arcaico, conservatore, guarda al passato, e all’inizio rigetta la richiesta dell’eroe di fornirgli ciò che può aiutarlo; sarà lo stesso eroe a convincerlo, superando prove, elargendogli dei doni, o anche combattendolo per costringerlo a diventare, suo malgrado, il donatore.

Il Vecchio è il portatore del senso, colui che ci fornisce il significato, che colma la lacuna della nostra conoscenza. Da questo punto di vista, il Mentore viene da noi percepito, e traslato nella narrazione, come un personaggio a noi esterno, fuori dall’interiorità a noi conosciuta. In realtà, secondo Jung, è sempre il nostro inconscio a possedere la chiave della sapienza, sconosciuta alla nostra coscienza; Proprio perché il Mentore (personaggio o parte del nostro inconscio) va a colmare una lacuna della nostra coscienza, lo percepiamo come altro da noi, fuori di noi, più in alto di noi. Infatti, in gran parte dei racconti di tutti i tempi, il Mentore non gioca accanto al protagonista, non è al fianco dell’eroe nelle sue batteglie. Interviene dall’esterno, dall’alto, per concedere quel che serve all’eroe, svolgendo così la sua funzione determinante, senza mai mettersi al suo stesso livello.

IL GUARDIANO DELLA SOGLIA

Quando l’eroe è costretto a cambiare il suo stato, ad uscire dal “mondo ordinario” per entrare in quello “straordinario”, s’imbatte in una creatura mostruosa, terribile, che marca la soglia di quella necessaria, e anche dolorosa, transizione. Il mito ha raccontato questo archetipo in mille modi, ma la raffigurazione più celebre è certamente quella di Cerbero, una delle belve posta a guardia dell’ingresso dell’Ade, la più terribile: un gigantesco cane a tre teste, con il dorso coperto da serpenti velenosi, che ad ogni suo orribile latrato mostrano, sibilanti, le loro lingue assassine. Nonostante la sua ferocia, necessaria per impedire ai morti di uscire dall’inferno, fu combattuto e sconfitto (o ingannato) da celebri eroi, come Ercole, Orfeo, Enea, Psiche. Cerbero compare anche nella Divina Commedia di Dante.

A livello psicologico, tale transizione può corrispondere a un momento di crescita, che però richiede di spezzare i vincoli con l’affettività dell’infanzia, di affrancarsi dal dominio materno in un processo di instaurazione di un proprio Sé autonomo. Questo processo rompe legami consolidati e pertanto è fonte di dolore. Nelle antiche civiltà, i riti iniziatici destinavano il giovane neofita a superare una serie di prove, anche violente, per dimostrare di aver superato la dipendenza infantile ed essere pronto per entrare nella società. Il filosofo ed esoterista austriaco Rudolf Steiner ha ben descritto nella sua opera “L’iniziazione” l’incontro, traumatico, tra l’uomo (l’adepto) e il Guardiano della soglia: “Al discepolo si presenta un essere veramente orribile, spettrale (…)” Visione spaventosa che rispecchia, secondo Steiner, il karma delle nostre azioni; tuttavia esso si manifesta quando si sta per raggiungere un livello spirituale superiore nel percorso iniziatico verso la conoscenza. Così parla il Guardiano di Steiner: «La mia soglia però è costruita di tutti quei sentimenti di paura che sono ancora in te, del tuo timore della forza che ti occorre per assumere la completa responsabilità delle tue azioni e dei tuoi pensieri.»([1])



IL TRAGHETTATORE (LO PSICOPOMPO)



passaggio nel regno dei morti – l’Ade – è spesso raffigurato come il “passaggio all’altra sponda” di un fiume infernale, l’Acheronte dei greci, l’Averno dei romani. Per compiere il trapasso nel regno dei morti, l’anima viene accompagnata da uno psicopompo, “colui che trasporta gli spiriti”, sovente raffigurato nell’immagine del traghettatore Caronte, ben descritto nell’Eneide di Virgilio e nella Divina Commedia di Dante – qui, come vecchio demonio canuto, ma dagli occhi di brace.

Nelle religioni e nei miti dell’antichità, lo psicopompo era più spesso immaginato come un uccello, o altro animale volante fantastico, come il leone alato; nei riti ancestrali, gli uccelli simboleggiavano proprio i conduttori delle anime dei defunti nel regno dei morti. Sul piano narrativo, questo archetipo può intervenire per accompagnare l’eroe nel passaggio verso il Mondo straordinario, con l’unica funzione del “traghettatore” che però non segue l’eroe nel suo percorso oscuro, ma lo lascia dopo aver compiuto il suo compito.
 
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